domenica 19 settembre 2010

Chi sono...

Sul lavoro io non sono quello che potrebbe dirsi una persona “simpatica”: tendenzialmente presuntuoso, anche se mai arrogante o scioccamente snob, ho un fortissimo ego e un'ambizione che si taglia a fette. Odio la superficialità e non amo affatto l'indolenza, la trascuratezza e il lassismo. Sono un combattivo, indifferentemente un soldato o un comandante di armata, un gregario e uno stratega, perché per me il mondo non è contraddistinto dalle categorie sociali e da mansioni, ma dagli obiettivi che ognuno si pone, dalla volontà di essere e non solo di avere.

Nella vita ho visto passare tanta acqua sotto i ponti, e di quei ponti ho fatto la mia vita: passaggi, attraversamenti indotti, obbligati da un destino beffardo e altezzoso. E sono diventato un instancabile guerriero, un pugile suonato, capace di rialzarsi tante volte da far rabbrividire e meravigliare chiunque.

E ciò perché (solo chi fa con serietà un lavoro come il mio può davvero capire) l'amore per il giornalismo – quello vero – non è figlio del potere sovrano, né di quelli noti né di quelli meno visibili. Fare televisione, scrivere o fare editoria vuol dire servire sé stessi e la coerenza con cui si decide di improntare la propria vita. Quando si fa questo mestiere, perciò, non si ama il “tiramm a campà” che tanto ho respirato nei primi anni di vita; non si ama l'improvvisazione perché mai sarà professionalità; non si amano le genuflessioni davanti a gente che si vanti del ruolo che ha raggiunto nella vita, ma si resta ammirati dalla semplicità che è diventata cultura.

Così il vero giornalista è quello che ad ogni cena con amici si ritrova a parlare per ore intere della sua professione e lo fa con l'entusiasmo di un adolescente. Ma per arrivare ad un tale stadio di coesione col proprio lavoro, bisogna respirare polvere per anni, bisogna prendere scappellotti dai propri insegnanti (la televisione vera me ne ha regalati più di uno...) e dedicare intere serate a capirne il motivo. Bisogna cioè fare “la spugna” e assorbire qualsiasi cosa la vita, le persone, le esperienze e le fatalità ci insegnino.

Oggi molte delle persone che si affacciano al mio mestiere non hanno l'umiltà e la pazienza di attendere che arrivi quel giorno in cui sia tempo di salire un gradino, di guardare al di là del rovo di spine, là dove spesso, dopo anni di stenti, ci aspetta un viale verde di onestà e di giudizio.

Purtroppo io lo so bene: io divento antipatico a tutti coloro che non fondano la vita su certi valori. Non che io voglia fare sfoggio di valori, anzi... se dovessi dirla tutta, non sono certo uno stinco di santo. Certo però posso dire di non offrire il fianco a vacue sintonie, di non voler apparire amabile a tutti i costi. Al contrario. Quando mi accorgo che qualcuno viola quei concetti, l'idea di amore per la propria ambizione, ferendomi, conosce il mio lato più burbero e certo meno caloroso.

Ma non esiste solo il lavoro: il cielo spesso perdona le mie intransigenze perché nella mia vita personale, quella fatta delle mie quattro mura e di una splendida moglie, sono l'esatto opposto di quanto ho raccontato. Forse per reazione, forse per necessità di riprendere fiato, forse perché sono nato scrittore e poeta prima di diventare imprenditore, o forse perché ho sempre quella capacità di lasciarmi incuriosire dal mondo che mi circonda, guardandolo sovente ammirato, con gli occhi di un bambino.

Per il resto, ricordando il grande Salvatore Quasimodo: “ognuno è solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole, ed è subito sera"...